Intendendo di continuare la consuetudine di realizzare opere costose ed inutili, il consorzio Pisa Viva, con il contributo di Camera di Commercio, Comune, Provincia e Regione, ha recentemente realizzato una serie di pannelli illustrativi delle attività commerciali nell’asse Corso Italia-Borgo. Fin qua nessuna sorpresa: siamo abituati al distorto ordine delle priorità dei nostri governanti che, mentre il bastione Stampace crolla, la Sapienza resta chiusa, le strade assomigliano sempre più a paesaggi lunari e le chiese vanno in malora, realizza People Mover e cestini in oro massiccio (almeno a giudicare dal costo). La novità sta nell’offensiva a tutto campo e senza precedenti che con i nuovi pannelli si è deciso di sferrare contro la lingua italiana. Ad un primo sguardo, infatti, la segnaletica appare in tutto e per tutto normale: una grafica non eccitante ma dignitosa, teche in legno e vetro, illustrazioni. Appena ci si avvicina a portata di lettura, tuttavia, lo spirito della nostra maestra delle elementari comincia già a tormentarci: virgole utilizzate senza cognizione di causa, maiuscole che compaiono a caso, difformità ed approssimazione negli elenchi delle attività commerciali, informazioni storiche inserite per sentito dire (o, peggio, estrapolate alla meno peggio da Wikipedia) e – gran finale da doppio errore blu – le evidenti conseguenze di un trauma infantile causato da accenti ed apostrofi, che culminano in quel pò che fa orgogliosa mostra di sé in praticamente ogni cartello. C’è chiaramente un gravissimo problema di incompetenza; chi ha redatto i pannelli (probabilmente non una sola persona, a giudicare dalla difformità di stile) è un amatore che ha scarse nozioni della lingua italiana, una risibile capacità di redigere un testo informativo e, soprattutto, poca voglia di rileggere quello che ha scritto. Ma non basta: nell’immaginare una catena di responsabilità in questo scempio della nostra lingua nazionale e dell’immagine della città (redattore, correttore di bozze, impiegato del Comune, assessore, tipografo?) viene naturale chiedersi chi alla fine pagherà per l’ennesima figura barbina. La domanda è fin troppo scontata.
Facciamo di seguito un tour, assolutamente non esaustivo, dell’orrore: la famigerata dicitura Un pò (sic!) di storia campeggia sui pannelli di Via Mercanti (dove un anonimo eroe cittadino ha fatto notare lo spregio con un piccolo biglietto inserito oltre il pannello di vetro), Carmine, San Francesco, ma è solo l’elemento più evidente. «Caffè» e «Cafè» sono scritti con l’apostrofo invece dell’accento in ogni cartello in cui compaiono. Qualche e apostrofata in vece della terza persona singolare del verbo essere è disseminata qua e là, mentre nei cartelli del Carmine e di Via Mercanti possiamo gustarci qualche virgola terrorista posta strategicamente a distruggere i rapporti tra soggetti, verbi, oggetti e complementi predicativi. Nel cartello di Via San Martino arrivano il tripudio delle maiuscole casuali (la qualifica di Marco Salvini è «Fotografo, Servizi, sviluppo e stampa», mentre Al-Madina diventa un pomposissimo «Ristorante Specialità Siriano-Libanesi») e le inversioni tra nome dell’esercizio e qualifica (la «Barca dei Desideri» diventa l’attributo di Vintage…E non solo, con in più un disturbante uso dei puntini di sospensione). Ma è nel pannello di Via San Francesco che il dilettantismo diventa capolavoro, quando – dopo un paio di mancate concordanze e qualche informazione storica approssimativa – si giunge ad una descrizione che promette di far impazzire Google Maps (i corsivi dell’autore per sottolineare il percorso impossibile): «[Via San Francesco] si sviluppa dalle mura datate 1155 e arriva in Borgo attraversando l’antico Quartiere di Foriporta; incontra successivamente la chiesa di San Francesco risalente al 1233 e il Palazzo Ruschi (XVI sec.). Proseguendo si trova la chiesa di Santa Cecilia, del 1102 […]». Capito? No? Sarebbe da meravigliarsi del contrario.
Il mai troppo compianto Emilio Tolaini diceva che Pisa è brutta, laddove non è riuscita ad essere all’altezza della propria storia. Oggi però sappiamo di essere giunti ad un livello completamente nuovo di pressapochismo, di approssimazione, di degrado culturale e sociale. Oggi sappiamo che quando si tocca il fondo c’è sempre qualcuno che ci tirerà una pala per poter scavare ancora di più.
In calce una domanda che mi assilla fin dal principio di questo testo: se Word ha tenacemente insistito nel correggermi il pò tutte le volte che l’ho scritto (anche ora, naturalmente), come diavolo ha fatto il nostro coraggioso redattore di cartelli a ripetere l’errore così tante volte?
Riccardo Pratesi